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storie di vite acquatiche

il blog di Hexacorallia

Le Barriere coralline e sistematica dei coralli

4/2/2021

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Articolo di Tommaso Mascioli. (Coral Bleaching - T.Mascioli 2014)
Le barriere coralline costituiscono uno degli ecosistemi più produttivi e la diversità delle forme di vita che ospitano è paragonabile solo a quelle delle foreste tropicali. In media per ogni metro quadrato di superficie si formano, nell’arco di un anno, da 1.500 a 5.000 grammi di carbonio, circa da due a dieci volte la produzione primaria dell’ecosistema della foresta e dieci volte la quantità che si origina nel più produttivo dei sistemi planctonici marini (SOMMERS, 1998). Di conseguenza le possibilità di alimentazione per i pesci nella barriera sono sensibilmente migliori rispetto ad altri ambienti marini. Questa circostanza porta ad evidenziare che circa il 9% di tutta la biomassa ittica mondiale si trova nei reef, nonostante la loro parte di superficie si collochi molto al di sotto del due percento (SOROKIN, 1995).
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Ma la cosa più sorprendente è che questa comunità corallina enormemente produttiva si trovi in un’area di mare particolarmente povera di sostanze nutrienti, in maniera del tutto simile ad una foresta pluviale tropicale, che si sviluppa su un terreno infruttuoso e si alimenta da sola. Quasi tutto ciò che nel reef è disponibile sotto forma di sostanze nutrienti si trova nella materia corporea viva dei suoi abitanti e solamente una piccola parte della sostanza organica è in grado di accumularsi nelle strutture inanimate. Lo sviluppo di un reef si svolge secondo uno schema soggetto ad una certa ripetitività. Ha inizio con la colonizzazione di coralli lungo la costa, principalmente vicino ad una piccola isola. In questo caso lo si definisce reef di contorno. Questa orlatura di coralli nel corso del tempo viene rafforzata dall’aggiunta di ulteriore calcare corallino divenendo più fitta e dando luogo ad una lastra corallina. Attraverso varie influenze, quali l’apporto di sedimenti dalla terra ferma, lo sviluppo di organismi sulla lastra corallina viene così rallentato, mentre per via di influssi, quali il maggior apporto di plancton dall’oceano aperto, la parte più esterna della barriera viene agevolata. Il risultato è una migliore crescita dei coralli presso il bordo esterno ed un regresso nell’area della lastra corallina, portando alla formazione di una laguna che, per via dell’erosione, con il passare del tempo diventa ancora più profonda. Il bordo della barriera si trova ora ad una certa distanza dalla terra e si è sviluppato accrescendosi fin quasi alla superficie dell’acqua, cingendo l’isola come un muro.
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Foto T.Mascioli - Los Cabos - Mexico
Dal reef di contorno si è evoluta una falsa barriera corallina.  Si definisce “falsa” perché è in collegamento con la costa. Una barriera corallina autentica, come la nota Great Barrier Reef australiana, non si sviluppa lungo la costa ma presso una struttura ad una certa distanza da essa. Per gli animali, lo spazio da conquistare è merce pregiatissima, e per esso la lotta è spietata.  Ogni nicchia ecologica che si libera per la scomparsa di un organismo è rapidamente rioccupata da altri. Tuttavia, non è solamente la concorrenza tra le specie a determinare la vita nel reef, ma anche la ricerca di relazioni. Gli adattamenti comportamentali hanno condotto a comunità viventi nelle quali le forze di altri possono compensare le proprie debolezze. Molti pesci territoriali, come ad esempio i cromini ed i pomacentrini, vivono presso o tra le colonie di coralli dove si rifugiano in caso di pericolo difendendole veemente dagli aggressori.  Altri pesci, come ad esempio Chromis ssp. si ritirano in grandi gruppi all’interno di colonie di Acropora, proteggendosi dagli assalitori e fornendo al contempo ai coralli, per mezzo degli scarti del loro metabolismo, delle sostanze nutrienti (THALER, 2000). Gli esseri viventi del reef sono soggetti a relazioni così intense da influenzare reciprocamente addirittura il loro sviluppo.
SISTEMATICA DEI CORALLI
PHYLUM CNIDARIA
 
Il phylum Cnidaria (greco knide, ortica + latino aria, suffisso plurale, simile a, connesso con) è un interessante gruppo composto da più di 9000 specie. Il phylum prende il nome dalle cellule chiamate Cnidociti, che contengono gli organelli urticanti, le nematocisti, caratteristiche del phylum. Le nematocisti vengono prodotte ed utilizzate esclusivamente dagli Cnidari. Gli Cnidari sono tradizionalmente collocati in prossimità della base della linea filetica che ha dato origine ai Metazoi. Sono un gruppo molto antico, con le testimonianze fossili più antiche fra tutti i Metazoi, databili a oltre 700 milioni di anni. Sebbene siano per lo più sessili o, se mobili, si muovano molto lentamente, sono predatori assai efficienti di organismi molto più complessi e veloci. Si possono riconoscere quattro classi di cnidari: Hydrozoa, Scyphozoa, Cubozoa ed Anthozoa (la classe più ampia, che include anemoni, esacoralli o coralli costruttori di barriera, octocoralli o coralli molli e altri ancora).
 
 
CLASSE ANTHOZOA
 
Gli antozoi, o “animali fiori”, sono polipi che assomigliano a fiori. Manca totalmente lo stadio di medusa. Gli Anthozoa sono tutti marini e possono trovarsi in acque sia profonde sia superficiali, dai mari polari a quelli tropicali. Variano molto in dimensioni e possono essere sia solitari che coloniali. Molti sono dotati di uno scheletro. La classe si suddivide in tre sottoclassi: Zoantharia (Hexacorallia) include anemoni e madrepore, Ceriantipatharia, che comprende anemoni tubiformi e coralli spinosi e Octocorallia (Alcyonaria) che contiene i coralli molli detti per l’appunto alcionidi privi di scheletro di calcio. Gli zoantari e i ceriantipatari hanno un’organizzazione esamera (sei o multipli di sei) o simmetria polimera e presentano tentacoli tubulari semplici organizzati in uno o più cerchi intorno al disco orale. Gli octocoralli presentano organizzazione in ottameri ed hanno sempre otto tentacoli pinnati disposti intorno al margine del disco orale. Gli esacoralli (Zoantharia) sono gli organismi che più contribuiscono alla formazione di un reef. Gli Antozoi sono costituiti da parti anatomiche ben definite. Tutti mostrano un corpo tubolare chiuso alla sua estremità inferiore. L’apertura del “tubo” rappresenta la cavità boccale e anale contemporaneamente ed è circondata da una corolla tentacolare. La parte interna di questo “tubo” rappresenta la cavità gastrovascolare, divisa in camere singole dai setti del corallite. Il tessuto ripiegato sul setto viene definito mesenterio e lungo il bordo centrale si trovano, oltre alle gonadi  e alle ghiandole sessuali, delle appendici nastriformi con secrezioni digerenti che prendono il nome di filamenti mesenteriali. Lo scheletro calcareo prodotto da un polipo di questo tipo, ha la forma a coppa e prende il nome di corallite il quale, come accennato in precedenza, è diviso da setti. A questo livello il polipo inizia a sviluppare delle particolarità tipiche del genere o addirittura della specie. I singoli coralliti sono legati tra loro da un tessuto calcareo poroso detto cenosteo, composto da lamelle singole e sottili, e che nella sua struttura è ugualmente tipico per ogni genere e specie. La caratteristica più evidente di un corallo duro è naturalmente la forma di crescita dell’intera colonia. I coralli duri formano una comunità di polipi che può sviluppare morfologie di crescita completamente diverse. La sintesi del calcio dei coralli di barriera tropicali è legata a determinate temperature dell’acqua, dato che funziona solamente nell’ambito di uno stretto lasso termico. Proprio per questa ragione i reef con i coralli dalla vita simbionte esistono unicamente all’interno di definiti gradi di latitudine ( 25°N-25°S).
Il concetto di coralli “costruttori di barriera” non deve essere associato alla categoria dei “coralli dalla vita simbionte” (zooxantellati), come avviene invece erroneamente. Un corallo duro può anche esistere in maniera simbionte senza essere costruttore di barriera, perché vive solitario lontano dal reef. Tuttavia, una barriera corallina tropicale produce l’anno circa 10 kg di carbonato di calcio per metro quadro (BINGMAN, 1998), e la parte più rilevante di questa prestazione è riconducibile ai coralli duri. La ragione di questa imponente resa nella sintesi del calcio dei coralli duri è insita nella convivenza con le alghe simbionti. Da una parte le alghe indirizzano più di nove decimi del prodotto della fotosintesi al corallo, cosa che garantisce all’animale ospite un grande vantaggio metabolico, dall’altra le alghe simbionti accelerano enormemente la sintesi di calcio (SOMMER, 1998).   
Quando le alghe estraggono dall’acqua la CO2 per la loro fotosintesi, si arriva alla dissociazione dell’idrogeno carbonato di calcio Ca(HCO3)2 in carbonato di calcio CaCO3 e acido carbonico H2CO3. L’acido carbonico si dissocia nuovamente in acqua e anidride carbonica (SPRUNG & DELBEEK, 1994).
Di fondamentale importanza per la sintesi del calcio è la capacità delle alghe simbionti di rimuovere i fosfati dal tessuto del corallo. La presenza di fosfati inibirebbe la formazione e deposizione di calcio.
Tutto questo fa capire come piccole variazioni ambientali di temperatura, salinità, valori dei nutrienti e presenza di oligoelementi mettano a rischio la sopravvivenza di questi animali. Nel corso degli ultimi vent’anni si è potuto studiare l’effetto di queste variazioni ambientali analizzando le diverse risposte fisiologiche delle differenti famiglie di esacoralli. Queste hanno mostrato limiti di suscettibilità a eventi di forte stress molto diversi. La famiglia che più risente dei cambiamenti climatici degli ultimi due decenni è quella delle Acropore. Numerosi studi hanno confermato che popolazioni di Acropora decimate da eventi di sbiancamento vengano sostituite da generi non così sensibili alle variazioni delle condizioni ambientali come il genere Porites. La sistematica dei coralli zooxantellati comprende numerose famiglie con altrettanti generi e specie. Di seguito sono riportate le caratteristiche sistematiche delle famiglie rispettivamente più sensibili (Acroporitidae) e meno sensibili (Poritidae) allo sbiancamento.
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FAMIGLIA ACROPORIDAE (VERRILL 1902)
 
La famiglia Acroporidae contiene quattro generi nei quali, in sostanza, si trovano tutte le forme di crescita dei coralli duri: Acropora, Anacropora e Montipora. Negli ultimi vent’anni, e con maggior frequenza dopo il 1998, anno in cui si presentò il fenomeno climatico el Niño, si sta assistendo ad un fenomeno definito come “Coral Blanching” (sbiancamento) che sta seriamente danneggiando gli ecosistemi di barriera corallina in varie zone del mondo. Nonostante tutti i generi di coralli simbionti siano soggetti a questo fenomeno, i coralli del genere Acropora hanno mostrato una suscettibilità maggiore allo sbiancamento e alla mortalità.
 
Genere Acropora
 
Acropora è il genere maggiormente ricco di specie tra tutti i coralli duri e contiene allo stesso tempo anche alcune delle sclerattine a più rapida crescita. Nel reef formano spesso, attraverso il loro veloce sviluppo, delle distese di straordinaria vastità. Circa la cifra esatta delle specie convalidate regna il disaccordo. VERON (2000) evidenzia 170 specie, 16 delle quali come prima descrizione. La caratteristica principale del genere Acropora è il polipo assiale collocato sulla punta di ogni ramo, il quale, per mezzo di scissione, crea polipi figli, definiti polipi radiali. Questi permangono nella loro posizione mentre il polipo assiale continua a crescere verso l’alto. In generale, le ramificazioni laterali nelle specie di Acropora si formano attraverso la trasformazione di un polipo radiale in assiale che continua a crescere lungo la direzione del suo asse. La maggior parte delle specie di Acropora cresce in modo arborescente, alcune anche tabularmente/laminarmente. In generale si trovano in questo genere le seguenti forme di crescita: tabulare (a forma di tavola), massiccia, arborescente (a rami), cespitoso (a cespuglio), corimboso (a forma di clava), digitato, “bottlebrush” (a forma di spazzola per bottiglia) e lastriforme, come pure diverse forme miste. In questo genere, oltre alle forme di crescita, la morfologia e la disposizione dei coralliti costituiscono un’essenziale caratteristica di differenziazione, ad esempio l’angolatura dei coralliti radiali verso il ramo, il diametro di ogni singolo corallite, il rapporto di grandezza tra i coralli stessi, disposizione (in file o irregolarmente), consistenza della parete e forma. La determinazione della specie Acropora per via del numero rilevante costituisce un campo straordinariamente difficile.
La differenza sostanziale che intercorre tra il genere Acropora e quello Anacropora consiste nella mancanza di polipi assiali nella punte dei rami.
Utili indicazioni sono reperibili da WALLACE (1999) e VERON (2000).
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Genere Montipora
 
Il genere Montipora con la sua ricchezza di specie non è molto distante da quello di Acropora. VERON (2000) elenca 73 specie, delle quali 15 come prima descrizione. La forma di crescita di questa specie è piuttosto varia: crostiforme, laminare, massiccia e arborescente. Questi coralli sono a rapida crescita, soprattutto le specie a crescita laminare e arborescente. Questa sua caratteristica la rende una specie ottimale per i progetti di recupero (Biorock system) di reef fortemente colpiti da eventi di sbiancamento a causa del surriscaldamento delle acque superficiali.
FAMIGLIA PORITIDAE (GRAY 1842)
 
La famiglia Poritidae contiene cinque generi, che possiedono coralliti molto compatti.
 
Genere Porites
 
Il genere Porites comprende al momento 53 specie accertate, che crescono in maniera laminare, crostiforme, massiccia o arborescente. VERON (2000) suddivise questo genere ricco di specie, in base alla forma di sviluppo ed alle caratteristiche scheletriche, in sei gruppi di specie.
I piccoli coralliti del genere Porites sono collocati in modo molto ravvicinato. Le specie a sviluppo massiccio formano prevalentemente colonie a mezza sfera e prediligono un’esistenza in acque basse e intensamente irraggiate dalla luce solare. Si proteggono dai depositi sedimentosi causati dalle maree, presenti in questi ambienti, in modo del tutto simile ai coralli molli, ovvero secernendo una secrezione vischiosa con la quale vengono allontanati anche i sedimenti depositati. 
L'ALIMENTAZIONE DEI CORALLI
I reef corallini si formano nelle zone di mare estremamente povere di sostanze nutrienti. A volte tali sostanze nutritive costituiscono una tale rarità che queste aree vengono definite come “deserti marittimi”. In effetti, in un reef corallino la maggior parte delle sostanze nutrienti è presente sotto forma di sostanze viventi: mentre sulla terra ferma le piante ottengono le sostanze necessarie dal suolo, gli abitanti del reef per il loro sostentamento devono servirsi del tessuto corporeo e di escrementi. Tutto ciò sembra valere anche per quegli invertebrati che possiedono alghe simbionti. E’ diffuso il concetto secondo il quale i coralli provvisti di simbionti non avrebbero bisogno di procurarsi alcun nutrimento, ma questo non pare corrispondere al vero. Anche i coralli zooxantellati devono catturare nutrimento e valorizzarlo.
Le limpide acque tropicali indicano la totale assenza di nutrienti ed escludono categoricamente la presenza di plancton. Le acque dei reef corallini sono un deserto nutritivo. Da qui premeva l’ipotesi che i coralli dovessero produrre da soli tutto ciò di cui avevano bisogno, o per lo meno la parte dominante. L’unica via per farlo era l’autotrofia, in altre parole i coralli non avevano la necessità di alimentarsi perché ricevevano tutto quello di cui avevano bisogno dalle alghe simbionti. 
Dall’inizio fino alla metà degli anni ’70, si studiava più da vicino la fisiologia della simbiosi coralli/alghe. Pionieri di questo lavoro erano Len MUSCATINE e i suoi studenti e collaboratori, e i risultati provarono che i dinoflagellati della maggior parte dei coralli zooxantellati elaborano effettivamente grandi quantità di prodotti della fotosintesi, che successivamente vengono ceduti all’ospite. La fotosintesi crea carboidrati, vale a dire zucchero e suoi derivati. I ricercatori scoprirono che le alghe simbionti erano in grado di soddisfare il fabbisogno giornaliero di carbonio dei coralli. Nessuno degli scienziati però aveva azzardato tale conclusione. Nel frattempo una nuova generazione di scienziati, durante alcune ricerche su campo nei reef corallini, arrivò ad un’altra conclusione. Se le acque dei reef sono così povere di plancton, perché brulicano di pesci planctivori? Nei coralli possono collaborare le zooxantelle, ma i pesci di certo non le contengono. L’errore commesso dagli scienziati, che li portò a dedurre che nei mari tropicali non vi è presenza di plancton, fu quello di usare gli stessi strumenti e gli stessi metodi utilizzati nei mari temperati e non perché fossero adatti, ma solo perché nei mari temperati avevano funzionato.
Il plancton dei mari temperati consiste prevalentemente di piccoli crostacei, larve di pesci, molluschi come pure meduse e ctenofori. Tutti questi, commisurati alla loro piccolezza, sono organismi robusti. Molti di questi sono catturabili trascinando un setaccio attraverso l’acqua. Nei primi anni ’90 si riuscì a comprendere che il plancton tropicale si distingue da quello dei mari temperati. Questo consiste di piccoli organismi gelatinosi come larve di tunicati, minuscole meduse, ma anche esemplari più grandi che sono però strutturati in modo molto complesso e straordinariamente fragili, larve simili alle meduse come pure enormi quantità di materiale batterico. Una gran quantità di questo plancton consiste semplicemente di batteri raggrumati, a volte grandi da diventare visibili ad occhio nudo (“marine snow”). Il plancton tropicale è semplicemente troppo piccolo e troppo delicato per essere raccolto con la metodologia standard diffusa verso la metà degli anni ’50. Una rete per plancton di questo tipo che venga trascinata attraverso l’acqua non raccoglie plancton, ma lo distrugge letteralmente.
Tornando ai coralli, le zooxantelle apportano ai polipi dei coralli tutti gli zuccheri che possono valorizzare, e una gran parte di questi viene trasportata quasi immediatamente alla superficie del corallo come substrato vischioso. Lo zucchero è energia, vale a dire che le zooxantelle sono fornitrici di energia la quale viene impiegata dal corallo per produrre tutto quello che le alghe simbionti non riescono ad offrire: proteine, fosfati, sostanze minerali e svariati altri composti. Le zooxantelle quindi apportano al corallo l’energia necessaria per strutturare la propria trappola per il plancton: i tentacoli, le nematocisti, le cavità gastrovascolari e gli assetti digestivi. Dai tardi anni ’80 sono stati condotti studi dettagliati su quanto nutrimento viene valorizzato dagli organismi di barriera, e questa quantità è veramente considerevole. Uno degli studi migliori è quello di HAMMER (1998), che stabili che in un’area di un metro quadro di superficie di reef nell’arco di 24 ore, venivano assunti dagli animali oltre due milioni di particelle con un peso complessivo di 750 grammi.      
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